La nutraceutica rappresenterà sempre più il nostro futuro in medicina. Si è ormai compreso che il modello “farmacocentrico” e di “medicina di attesa” improntato sull’intervento farmacologico esclusivamente a “disturbo in atto” (curo il paziente una volta malato) ha portato ad una crescita netta delle spese sanitarie, del numero annuo di ospedalizzazioni e dell’incidenza delle più comuni patologie. Oggi dovremmo seguire un modello basato sulla prevenzione e sulla “medicina di intervento”, vale a dire intervenire fin dalle origini del fattore di rischio/della patologia attraverso un corretto stile di vita e anche la nutraceutica.

La nutraceutica infatti sta offrendo importanti prospettive in ambiti dove il farmaco ha fallito: l’Alzheimer, l’autismo, l’antibiotico-resistenza ed il cancro sono quattro grossi settori nei quali studi clinici preliminari con nutraceutici hanno dato risultati incoraggianti.

La nutraceutica ha fornito evidenze sorprendenti anche in associazione ai medicinali: si pensi all’associazione coenzima Q10-berberina/statine oppure all’associazione probiotici/terapia antibiotica. Lo scopo di una o più associazioni nutraceutico/farmaco può consentire la riduzione ulteriore del fattore di rischio non raggiunta con la normale terapia farmacologica oppure la riduzione della dose farmacologica (sotto stretta indicazione medica), la riduzione di alcuni effetti collaterali, in alcuni casi può avere effetti additivi o sinergici e/o comportare un miglioramento della compliance del paziente

 

Quali i limiti?

 

Ad oggi ciò che definiamo come nutraceutico in realtà per legge è un integratore, vale a dire una sostanza o insieme di sostanze che “integrano” la comune dieta, dotate di un ruolo fisiologico e/o nutritivo sull’organismo. Inoltre l’integratore per definizione è destinato ai soggetti sani (o comunque “non compromessi”) e non deve dichiarare alcuna proprietà terapeutica in etichetta. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli studi clinici su nutraceutici, coinvolge invece soggetti “borderline” o comunque moderatamente patologici che rispetto ai soggetti “sani” presentano un rischio di eventi e una compromissione maggiore. È evidente che una persona “sana” (almeno secondo le linee guida) non necessita di un “integratore”, soprattutto di un integratore con ruolo “fisiologico”: ad esempio il risso rosso fermentato che contiene la monacolina K (chimicamente lovastatina) difficilmente è destinato ad un soggetto con la colesterolemia inferiore ai 200 mg/dl (target standard da linea guida) e sicuramente non presenta alcun effetto “nutritivo” ne “integrativo” sull’organismo.

Altro aspetto importante sono gli effetti terapeutici: per esempio il coenzima Q10 a dosaggi che vanno dai 200 ai 300 mg/die ha mostrato in soggetti scompensati (NYHA I-II-III) effetti importanti sulla riduzione della mortalità cardiovascolare e totale. E nonostante ci sia una forte EVIDENCE BASED MEDICINE, tutto ciò non può essere riportato in etichetta, così come non possono essere dichiarate “indicazioni” di utilizzo (perché si tratterebbe di soggetti “compromessi” e quindi patologici) né alcuna informazione scientifica di natura “terapeutica”. Le conseguenze sono purtroppo davanti agli occhi di tutti: livellamento e indistinzione fra nutraceutici formulati bene e altri formulati male, prodotti formulati sempre più secondo razionali politici/economici e non scientifici, modello business to business basato su schede tecniche “fittizie” per far comprendere le potenzialità terapeutiche dello “pseudo” integratore, confusione da parte del consumatore sui claims, informazioni incomplete e confusionarie per via della regolamentazione. Insomma una sorta di “caos” che colpisce direttamente le aziende serie che lavorano secondo razionali scientifici ed indirettamente il consumatore finale che si ritrova spesso con prodotti poco performanti

Cosa possiamo fare, noi farmacisti e voi pazienti?

 

Se da un lato è difficile prevedere una rivisitazione della normativa sugli integratori, è possibile però sensibilizzare il ruolo del farmacista. È importante che nelle farmacie entrino integratori ben formulati, con dei razionali e delle evidenze scientifiche. Il farmacista ha il compito di intervenire, consigliare ed educare i clienti sull’utilizzo di questi prodotti. È fondamentale quindi che il farmacista collabori in equipe con il medico di base e/o specialista seguendo direttamente il paziente nell’andamento della terapia (compliance, effetti collaterali, chiarimenti terapeutici) e fornisca un servizio a 360 gradi. Nell’ambito nutraceutico il farmacista ha l’obbligo ed il dovere morale di documentarsi, aggiornarsi e seguire quali siano i progressi in questo ambito in modo da riuscire a scegliere con dei razionali scientifici i prodotti proposti dalle varie aziende e poterli proporre con sicurezza al consumatore finale, formandolo.

 

Ed il cliente-paziente?

Di seguito, riportiamo alcune linee guida del primo Trattato Italiano di Nutraceutica Clinica, di cui il prof. Colletti è coadiutore, che riportano come il consumatore possa distinguere un nutraceutico “validato” rispetto ad uno “spazzatura”:

  • Il prodotto in esame deve avere letteratura scientifica ed informazioni sui meccanismi d’azione dei principi attivi che lo compongono, dati farmaco-tossicologici e sul controllo di qualità (quanto più possibile farmaco-simile)
  • Indicazione di impiego coerente con il meccanismo farmacologico noto
  • Avvertenze d’impiego chiaramente riportate
  • Buone evidenze di tollerabilità e sicurezza
  • I dosaggi devono essere coerente con quelli riportati dagli studi clinici (attenzione ai nutraceutici sotto-dosati!)
  • Gli estratti vegetali devono riportare il titolo e la standardizzazione dei principi attivi contenuti (es. estratto di valeriana titolato e standardizzato al 10% in acidi valerenici)

 

Per tutte queste informazioni, il consumatore ha la possibilità di avvalersi della qualifica del proprio farmacista di fiducia, che saprà indirizzarlo secondo scienza, verso il nutraceutico più consono alla propria esigenza.

COLLETTI

Prof. Alessandro Colletti